Palermo, la parola a Miccoli: "Sono un calciatore e non sono mafioso"
Fabrizio parla e piange: "Sono qui per chiedere scusa alla città di Palermo. Sono un padre di famiglia e voglio crescere i mie figli nella legalità". Il giocatore leccese, indagato per estorsione e accesso abusivo a sistema informatico, dopo l'interrogatorio di mercoledì spiega ai tifosi la sua posizione e le frasi shock su Giovanni Falcone
Chiede scusa Fabrizio Miccoli, lo fa con un discorso
spesso rotto dal pianto. Chiede scusa alla città di Palermo, dopo averlo
fatto con la sorella del giudice Falcone per le frasi offensive ("Quel
fango di Falcone") emerse dalle intercettazioni sull'inchiesta che lo
riguarda. Ieri per quasi cinque ore ha risposto alle domande dei pm in
Procura dove ha chiarito la sua posizione (le accuse sono estorsione e
accesso abusivo a sistema informatico). "Per me è un giorno importante -
esordisce Miccoli -, dopo tutto quello che è successo non riesco a
dormire la notte perché sono uscite delle cose che io non penso
assolutamente e l'ho dimostrato anche con i fatti. Al di là della
generosità, l'ho dimostrato scendendo in campo nel 20esimo anno della
morte di Falcone. Sono qui per chiedere scusa alla città di Palermo,
alla mia famiglia che mi ha fatto crescere in un contesto di valori e di
rispetto. Sono un padre famiglia - dice piangendo - e voglio crescere i
mie figli nella legalità. Sono un calciatore e non sono mafioso. In
questi anni anni che sono stato a Palermo, sono stato amico di tutti in
modo spontaneo senza pensare a cosa andavo incontro. Sono contento che
sia uscito tutto perché per me può essere importante. Spero un giorno di
poter essere testimone della legalità delle associazioni della signora
Falcone".
(da gazzetta.it)
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